Quota 111 - Borgo Marcellino
Oggi Quota 111 è placido un balcone di erba medica affacciato sulla vita della valle del Foglia, ma la sua terra ha conosciuto una delle notti più dolorose del nostro passato: la notte della Linea Gotica.
Estate 1944. Qui transita la Linea Gotica: la struttura difensiva tedesca che deve arrestare l’avanzata degli alleati nella liberazione d’Italia. In dieci mesi il tratto di pianura è stato completamente stravolto: alberi tagliati, casolari abbattuti, frutteti e filari divelti, interi paesi rasi al suolo con le mine, campi disseminati di migliaia di ordigni antiuomo e anticarro. La popolazione è partita, ha lasciato ogni cosa, se n’è andata sulle colline e nelle vicine campagne per sottrarsi alla furia della guerra.
Il 30 agosto gli alleati si affacciano dalle colline di fronte. È uno scenario spettrale quello che si presenta ai loro occhi, ma il loro sguardo è costantemente rivolto al crinale dove in centinaia di casematte si annida il nemico, armato fino ai denti e pronto a dar battaglia fino all’ultimo respiro. Al mattino un bombardamento sconvolge le difese tedesche, distruggendo bunker, reticolati, nonché gran parte dei campi minati e dei fossati anticarro apprestati davanti agli abitati di Montecchio, Osteria Nuova e Borgo Santa Maria. I collegamenti fra i vari reparti tedeschi vengono interrotti.
Nel pomeriggio parte l’attacco via terra su tre direttrici. Dei tre reggimenti canadesi che si lanciano all’attacco delle difese tedesche, due falliscono miseramente e vengono respinti sulla linea del Foglia: le perdite non si contano. Ma sul far della sera, dopo una terrificante e sanguinosa traversata dei campi minati, col favore delle prime tenebre un pugno di uomini del reggimento Perth riescono a inerpicarsi sulla collina tra gli abitati di Montecchio e Osteria Nuova. Quindi, con un rapido e violento assalto alla baionetta, irrompono sulla postazione di Quota 111, ottenendo la resa immediata dei tedeschi che la presidiano. La prima breccia nella Linea Gotica è aperta.
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Di seguito, la testimonianza resa dal canadese Stanley Scislowski (1923-2014), uno dei protagonisti della conquista di Quota 111, nel suo libro Not all of us were brave (1997).
Finalmente Sammy disse la parola magica: “Okay, andiamo!” Fu il nostro primo assalto alla baionetta. Con le baionette montate, i caricatori pieni e i colpi in canna iniziammo a salire, curvi sul pendio che si mostrava più lungo di quello che sembrava dalla strada.
A metà percorso le cosce e i polpacci cominciarono a stringermi. Tutto era tranquillo sopra, ma non lo sarebbe stato ancora per molto. I tedeschi presto capirono che qualcosa non andava, che i canadesi avevano attraversato il grande fossato e si stavano muovendo su di loro. Allora scatenarono alla cieca i loro mitragliatori. Ci buttammo a terra appena le rapide, brevi raffiche tagliarono l’aria sulle nostre teste. In quel momento non riuscivo davvero a immaginare come avremmo fatto a mettere fuori combattimento quel mitragliatore. Eravamo bloccati: nessuno muoveva un muscolo.
Con i proiettili che tagliavano l’aria sopra di noi, sentì prendermi una strana voglia, un bisogno crescente di saltare su e fare una carica solitaria per prendere quel mitragliatore. Sì, avrei potuto fare una corsa fino in cima, non appena il mitragliatore avesse cessato di sparare. Oppure, in alternativa, avrei potuto tentare di strisciare come un serpente fino a giungere sufficientemente vicino alla postazione per lanciarvi una granata. Ma ebbi anche abbastanza buon senso per comprendere che non ce l’avrei mai fatta. L'istinto di sopravvivenza era troppo forte per essere superato da queste idee folli che correvano nella mia testa. E così, come gli altri intorno a me, rimasi lì, incollato alla terra, continuando a chiedermi se fossi stato pazzo o sufficientemente coraggioso per alzarmi e andare. Solo un improvviso e incontrollabile impulso mi avrebbe mosso a un’azione eroica. Questo impulso non giunse. Affossai invece il mio naso più in profondità nell'erba fitta, per sottrarmi ai proiettili calibro 300 che ogni secondo avrebbero potuto trapassarmi dalla testa ai piedi.
L'assalto era bloccato a cinquanta metri dalla postazione nemica. Per quelli che mi sembrarono dieci lunghi minuti, sebbene non dovessero essere più di due o tre, rimanemmo con la faccia nell’erba polverosa, congelati nell'immobilità, sussultando a ogni raffica di mitragliatrice che bruciava l'aria sopra di noi. Qualcuno doveva fare la prima mossa. Provai a farla. Dio come ho provato! Ma non riuscivo ad alzarmi e andare. Poi all’improvviso tutto ciò accadde. Da qualche parte dietro me sentii il muggito di Sammy Ridge. Non ho mai pensato che avesse quella voce così profonda. Non riuscivo a capire esattamente quello che gridava ma suonava come "Forza, che diavolo state aspettando?" Alzai la testa quanto basta per dare una occhiata attorno e vidi la sagoma di qualcuno alla mia destra alzarsi e cominciare ad avanzare. Proprio accanto a lui qualcun altro si alzò. E poi, come per magia, tutta la compagnia si mise in movimento. Nessuno ora doveva più dirci quello che dovevamo fare, sapevamo qual era la nostra missione: prendere la collina!
Siamo dunque saliti. Il mitragliatore sparò ancora una raffica. Questa volta, sebbene potessimo essere degli obiettivi migliori, miracolosamente nessuno fu colpito. E quasi senza saperlo, improvvisamente iniziai a percorrere quegli ultimi cinquanta metri tanto velocemente quanto la pendenza, la forza e la resistenza delle mie gambe mi permettevano. Gridavamo e urlavamo con tutta la potenza dei nostri polmoni. Ancora oggi non saprei dire se quelle mie urla sanguinarie provenissero dalla sete di sangue o dalla paura. Forse da entrambe le cose. In ogni caso, il clamore che facemmo durante questo assalto alla baionetta fu - come ci dissero in seguito - così forte che le nostre truppe che si trovavano indietro, nei pressi del fiume Foglia, poterono sentirci. Credo che ciò sia servito allo scopo, perché fece fuori tutta la combattività dei tedeschi.
Un’ondata di euforia e di estrema emozione mi pervase. Almeno per quel momento avevo dimenticato cosa fosse la paura. Come fummo direttamente sotto la posizione del mitragliatore tedesco, una granata cadde con un botto infernale immediatamente alle nostre spalle. Che si trattasse dei nostri o del nemico non avrei saputo dirlo. Ma quando capimmo che nessuno era stato colpito, ci facemmo forza e balzammo immediatamente in piedi per continuare con determinazione la nostra salita.
Ma giunti sul posto non ci fu né lavoro di baionetta, né liberazione di trincea, né alcun’altra missione da compiere. C’era solo una trincea piena di tedeschi che stavano lì con le mani in alto e gridavano tutti insieme: "Kameraden! Kameraden! Kameraden!" Una visione stupenda per me, se mai una situazione del genere possa essere definita tale. Confortante potrebbe essere il termine più adatto. Ad ogni modo, devo ammetterlo, fui intensamente contento di non aver dovuto usare le nostre baionette in uno scontro corpo a corpo. Un ragazzo deve essere un assassino nato per desiderare questo. E io non ero nato assassino.

Stanley Scislowski (1923-2014)